giovedì 22 aprile 2010
Post telefonata
Io oggi quello che voglio, quello che posso offrirle, è una semplice amicizia. Lo spazio necessario a una conoscenza reciproca, come se fossimo due persone che si incontrano quasi per la prima volta e si conoscono. Posso offrirle un confronto su quello che eravamo e vedere quello che siamo adesso, ma non voglio vivere un solo minuto con l’idea di ricercare un passato che non c’è più. Ci ho messo anni per lasciarmelo alle spalle, con tutto quello che esso ha significato, e ora, dopo tanto sacrificio e sofferenza, l’unica cosa che voglio e guardare avanti.
Sento che sto maturando un passaggio importante della mia vita e non voglio sprecare questa occasione in sentimentalismi fini a se stessi e in déjà vu delle emozioni.
Le avevo scritto la mia email perché mi faceva piacere sapesse cosa oggi pensavo di lei, rispetto a quello che con lei avevo vissuto, dopo aver capito la mia parte di responsabilità nel prima e nel dopo. Non lo avevo fatto per altro, se non forse per mettermi alla prova rispetto a questo mio nuovo essere. Per provare le mie nuove “armi” (risorse).
La sua reazione mi ha lasciato spiazzato e sinceramente, leggendo quanto mi ha scritto, avevo immaginato che ora fosse sola e un po’ la fantasia, per quanto tenuta a freno dalla consapevolezza, si era messa a trotterellare. Non che il dirmi della sua relazione abbia cambiato di molto la mia visione delle cose, ma oggi c’è anche questo in ballo e io voglio tenerne conto fino in fondo. Se anche una sola amicizia possa significare un fastidio o un elemento di disturbo per qualcun altro, allora io mi tolgo di mezzo senza problemi ne rimostranze o altro. Io non voglio “rubare” nulla a nessuno, fosse anche solo per il tempo di due chiacchiere davanti a un caffè.
Sono contento di questo mio nuovo modo di vedere le cose, di viverle in maniera più consapevole, più “forte”….mi fa sentire fiero di me stesso.
Sono sempre più convinto di aver fatto una cosa giusta, di aver iniziato un percorso che pian piano sta liberando un nuovo modo di essere che mi piace. E paradossalmente ritrovo anche la serenità e la tranquillità nel vivere da solo, proprio in questo momento.
Vi ricordate del gioco che vi ho proposto qualche post fa?
La soluzione è questa.
A prescindere che ci siate arrivati o meno, il significato vero della soluzione è che essa a volte va trovata al di fuori degli schemi classici che ognuno si porta dietro e che non sono necessariamente sbagliati, ma che possono non essere più efficaci o significativi in un nuovo momento della nostra vita. In particolare possono non esserli nel momento in cui siamo di fronte a un nostro processo evolutivo.
Può essere addirittura una nuova soluzione, oppure un nuovo approccio al problema, a spingerci verso un’evoluzione, un cambiamento del nostro modo di rapportarci alle relazioni con il mondo che ci circonda.
Berny dice che su questo principio, se vuole, l’uomo può evolversi in continuazione durante tutto il corso della propria vita, anche se a volte più si matura e si va avanti con gli anni più questo processo sembra difficoltoso, ma solo perché ci fossilizziamo e ci rendiamo pigri al cambiamento.
E se da un lato questo è normale che lo sia, per la nostra ricerca alla stabilità, dall’altro ci toglie la possibilità di scoprire che possiamo essere anche altro.
Per dirla in termini ingegneristici, siamo come un sistema in oscillazione attorno a un punto di equilibrio stabile. Ma può succedere che questo equilibrio non ci soddisfi più e allora abbiamo bisogno di una perturbazione esterna che ci porti, dopo un moto un po’ burrascoso e poco lineare, ad oscillare intorno a un nuovo punto di equilibrio.
Buone oscillazioni a tutti.
lunedì 12 aprile 2010
Sabato
Sabato incontrerò A.. Dopo sei anni risentirò la sua voce, tornerò a posare i miei occhi sul suo sguardo, sull’espressione bellissima dei suoi occhi, forse ci sarà anche spazio per una carezza, un’abbraccio….non lo so.
Sono felice e anche un po’ orgoglioso di aver rotto questo lungo silenzio, era necessario per me e per lei, se le volevo bene, se volevo provare ad essere altro, dovevo farlo.
In questi giorni ci siamo un po’ raccontati per email, ma giusto quanto serviva per rompere il ghiaccio. Non ho nemmeno avuto il coraggio di chiederle se potevamo sentirci al telefono – il suo numero l’ho cancellato sei anni fa dalla rubrica ma non dalla mia memoria - in realtà non so nemmeno se lo voglio, non so se voglio risentire per la prima volta la sua voce attraverso un telefono, ho quasi paura di non riuscire a dare fiato a nessuna parola…e allora credo che aspetterò sabato.
In me ora si alternano diversi stati d’animo. Da un lato sono felice e fremo all’idea di rivederla, di parlarle, di sentirla, di vedere cosa potrà nascere da questo riavvicinamento. Dall’altro lo temo. Non temo tanto questo momento, questo incontro, ma quello che da esso si svilupperà, le aspettative che ognuno riverserà sull’altro, su come saranno gestiti i passaggi che si apriranno da sabato in poi. Non mi spaventano i fantasmi del passato, di questo sono sicuro, mi spaventa il presente per come si manifesterà e per le nostre reazioni. Ma ancora una volta sto commettendo l’errore di pensare a qualcosa che non c’è ancora, che non è reale. E allora devio altrove i miei pensieri. Alcune volte penso invece che può bastare quanto ho fatto, che non mi occorre altro....quasi si generasse un rifiuto per quanto si sta manifestando.
Ma cosa le dirò sabato? Certo bisognerà riprendere il discorso da dove è stato interrotto, sei anni fa.
E allora le chiederò scusa per averla lasciata troppo sola in un momento così difficile della sua vita, di non averla saputa ascoltare, distratto da quanto stavo io affrontando, limitato dalle difficoltà di quel tempo.
Le chiederò scusa per il silenzio e la distanza di questi anni, difficile per entrambi, l’unico modo che mi sembrava possibile per farle pesare il mio dolore, la mia sofferenza. Non ho saputo fare di meglio che coltivare la presuntuosa idea che un passato così si potesse chiudere da un giorno all’altro, riponendo i tanti ricordi, le emozioni, i profondi sentimenti, all’interno di una scatola di cartone riposta sull’ultimo piano di una libreria.
Le dirò che ho compreso le sue reazioni di allora, anche se non le ho mai giustificate.
Penso inizierò da queste cose, cercando di capire poi, nei giorni che seguiranno, cosa dicono e nascondo le voci che ancora sento nell’animo. Se sono reali, o sono solo l’eco di quello che è stato. Se valgono solo per la A. di ieri, o possono essere dette e amplificate anche per la A. di oggi. Non posso più convivere con questo pensiero, quotidiano e forte, senza capire bene cos’è e cosa chiede.
Scusate il video da pasticciere diabetico…ma quando mi è venuta in mente questa canzone e ho trovato il video su You Tube, mi sono troppo divertito all’idea di associarlo a questo post.
Anche se manca ancora qualche giorno…buon “sabato pomeriggio” a tutti.
sabato 10 aprile 2010
Domande consuete
Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente
come se il tempo per noi non costasse l' uguale,
come se il tempo passato ed il tempo presente
non avessero stessa amarezza di sale.
Tu non sai le domande, ma non risponderei
per non strascinare parole in linguaggio d' azzardo;
eri bella, lo so, e che bella che sei,
dicon tanto un silenzio e uno sguardo...
Se ci sono non so cosa sono e se vuoi
quel che sono o sarei, quel che sarò domani,
non parlare non dire più niente, se puoi,
lascia farlo ai tuoi occhi, alle mani...
Non andare... vai... Non restare...stai... Non parlare... parlami di te...
Tu lo sai, io lo so, quanto vanno disperse,
trascinate dai giorni come piena di fiume
tante cose sembrate e credute diverse,
come un prato coperto a bitume.
Rimanere così, annaspare nel niente,
custodire i ricordi, carezzare le età;
è uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente
del diritto alla felicità...
Se ci sei, cosa sei? Cosa pensi e perchè?
Non lo so, non lo sai; siamo qui o lontani?
Esser tutto, un momento, ma dentro di te,
aver tutto, ma non il domani...
Non andare... vai.. Non restare...stai... Non parlare... parlami di te...
E siamo qui spogli in questa stagione che unisce
tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove,
non so dire se nasce un periodo o finisce,
se dal cielo ora piove o non piove...
Pronto a dire "buongiorno", a rispondere "bene",
a sorridere a "salve", dire anch'io "come va?"
Non c'è vento stasera. Siamo o non siamo assieme?
Fuori c'è ancora una città?
Se c'è ancora balliamoci dentro stasera,
con gli amici cantiamo una nuova canzone...
tanti anni e son qui ad aspettar primavera,
tanti anni ed ancora in pallone...
Non andare... vai... Non restare...stai... Non parlare... parlami di te...
Non andare... vai... Non restare...stai... Non parlare... parlami di noi...
giovedì 8 aprile 2010
Non bisognerebbe
Sono dovuti passare più di sei anni perché trovassi la motivazione e la forza per farlo.
Spostare la freccia su “invia” e cliccare è stato difficilissimo, in dubbio sull’opportunità o meno di questo gesto, sull’invadenza o meno di atto così semplice ma che si portava dietro un significato enorme.
Avevo scritto quella email da mesi, prima su un foglio di carta rimasto per settimane e settimane poggiato sulla mia scrivania, poi copiato su un file word e infine sul modulo della posta elettronica.
Per giorni e giorni mi sono fatto domande sul perché proprio ora, in questo particolare momento. Ho provato a immaginare le reazioni sue a quanto avevo scritto, le mie a quanto ne sarebbe seguito. Ne ho parlato con V., con M., con A e con Berny.
Ognuno di loro ha messo un po’ di peso sul dito che ha cliccato su invia è spedito nella rete l’email recapitandola ad A., dopo sei lunghi anni di silenzio assoluto.
Con A. ho vissuto la più bella relazione della mia vita.
Colma di dolcezza, Amore, premure, complicità, gioia e sentimenti puri e sinceri. Qualcosa di appagante e unico, in cui penso ognuno di noi si sia sentito completato dall’altro, almeno per me lo è stato. Qualcosa che nasceva anche dall’aver condiviso uno stesso tessuto sociale, una stessa identità culturale, stessi valori, stessi ideali, anche se magari vissuti e sentiti in misura diversa. Ognuno penso si sia sentito libero di coltivare i propri interessi, la propria vita al di fuori della coppia, appoggiato dal consenso mai critico dell’altro.
Questo per circa cinque anni, fin quando la vita ci ha messo di fronte alla prima difficoltà vera, forse più grande di noi allora e alla quale non abbiamo saputo reagire come si sarebbe dovuto.
E non è un fatto di colpe o non colpe, errori miei o suoi. Abbiamo sbagliato entrambi, immaturi e forse lasciati anche un po’ soli. Ma questa è la consapevolezza dell’oggi.
Dal giorno che ci siamo lasciati non c’è stato più nessun contatto tra noi. Ne una telefonata, ne un’email, ne un amico a fare da cassa di risonanza. Ognuno è andato da solo incontro alla sua nuova strada, con il suo fardello di ricordi, immagini, pensieri e cose lasciate non dette, con la presunzione che potessero far parte di un passato.
E invece leggendo quanto ci siamo scritti in questi due giorni, mi rendo conto quanto forte e presente sia stato questo riferimento per tutti e due. Nessuno di noi è più riuscito a dire “Ti Amo” a una persona.
In questi sei anni sono stato quasi sempre solo, a parte una relazione di pochi mesi e un’altra, quella con F., che non so ancora se definirla uno “stare insieme”.
Mi sono cullato sul ricordo, me lo sono fatto bastare per anni e il più delle volte, quando sono andato oltre, ho fatto i miei bei paragoni in cui la vincente era sempre una.
Non bisognerebbe vivere sui paragoni, lo so. Ma come si fa. Insegnatemelo.
Magari l’avrò idealizzata, ma A. per me è stata la ragazza perfetta, in tutto. E questo pensiero vale ancora oggi. E non so se dire purtroppo o per fortuna.
Ci siamo scritti e ci siamo ritrovati a dire più o meno le stesse cose, ad aver provato le stesse sensazioni, le stesse emozioni.
Sto tirando le briglie della mia fantasia. Mi ripeto e so che l’ho fatto per altro, e che sarebbe un errore inciampare oggi in un passato. Il kirkel di allora non c’è più, la A. di allora non c’è più. E’ cambiato il contesto, il tempo, siamo cambiati noi.
Mi torna in mente una canzone, del solito Guccini (vi sarete abituati ormai), “Non bisognerebbe”.
Lo so, non bisognerebbe…è chiaro come la luce.
Ma questa volta, almeno per questa volta....solo per un pochino....lasciatemi sognare.
Un gioco
Oggi vi propongo un gioco.
o o o
o o o
o o o
Collegate i nove pallini con sole quattro linee rette consecutive, o meglio senza staccare la penna dal foglio.
Mentre cercate la soluzione cosa vi viene in mente?
- Non sono capace
- Non mi va
- La soluzione non esiste
- Kirkel non ha spiegato bene il gioco
- Non sono portato per queste cose
- Ci penso con calma
- Altro….
Buon divertimento!!
lunedì 5 aprile 2010
“Non so che viso avesse” - Pag.151
La canzone Incontro è in ricordo di Betty Di Giusto […una ragazza alta è fascinosa, in fondo mai persa di vista nel corso degli anni. Con lei, con la quale non aveva né avrebbe mai intrecciato una storia d’amore, Francesco impara il piacere conoscitivo del dialogo profondo tra persone di sesso diverso…]. Allora questo post lo dedico a V., ragazza alta e fascinosa, con cui posso condividere questo prezioso privilegio.
sabato 3 aprile 2010
Chi sono?
Oggi parto da una domanda rivolta a me stesso e che ognuno può rivolgersi.
Chi è kirkel?
Ora non voglio stare qui a fare l’elenco di quello che sono e non sono, pregi e difetti, ma provate a chiedervi chi siete e a darvi una risposta descrivendo il vostro modo di essere. Quello che a me capita è che so di essere una persona ricca di contenuti ma a volte questo “essere” fatica a mostrarsi, a venir fuori con la giusta fluidità quando si tratta di mettersi “in vetrina”. La sensazione che provo è che quello che ho da “raccontare” sia poco interessante o difficilmente condivisibile e di poco interesse per i più.
Ma quante volte vi capita di sentirvi “inopportuni” per quello che siete, che fate o che dite, solo perché lo avete immaginato?
Ed è proprio questo un po’ il punto da cui volevo partire per parlare di “condizionamento” del nostro modo di essere.
Berny mi ha fatto riflettere tanto su questo. Anche se ne ero più o meno consapevole non avevo mai iniziato o provato ad essere altro.
Ho preso nota per una settimana di tutte quelle situazioni in cui mi sono trovato a prefigurare una reazione, o in cui ho disegnato uno scenario a priori, condizionato il mio agire o dire.
Devo ammettere che è capitato tante volte.
Mi capita spessissimo di preconfezionarmi una possibile circostanza che può essere anche molto distante dalla realtà. Ed è proprio questo il problema, in quanto essere condizionati da un feedback reale è normale, per ognuno di noi, in tanti casi è anzi positivo e necessario. Sbagliato è invece lasciarsi condizionare da un feedback molto distante dalla realtà, a volte solo immaginario.
Questo atteggiamento è molto pericoloso in quanto potrebbe portarci addirittura a tentare di cambiare la realtà per avvicinarla quanto più possibile a quello che abbiamo immaginato, con effetti devastanti per le nostre relazioni e il nostro modo di essere.
E’ un po’ come un ricercatore che spenderà tutte le sue energie e il suo tempo nel cercare di dimostrare una sua tesi, non trovandosi attento e pronto a intercettare l’evento casuale che potrebbe portarlo verso una nuova scoperta.
E allora provo a vestire i panni di un nuovo ricercatore più audace e snello nel pensiero, e come tante volte mi capita in questo periodo mi scopro a tentare nuove strade, senza troppi “se” e troppi “ma”, solo con la voglia di scoprire e testare le reazioni degli altri, osservandone i feedback…non mi viene istintivo e naturale ma di sicuro è un gioco divertente e ne ricavo ogni volta un po’ più di fiducia in me stesso. Le rovinose reazioni che a volte prevedevo, si dimostrano invece umane e gestibili.